Meno quattro - La premonizione

Postfazione al racconto "La premonizione" di Italo Bellotti inserito nel volume "Chiamata ore dieci" edito da Eris Edizioni.
Il destino del signor Wyman è segnato da un susseguirsi di suoni: un ramo che si stacca dall’albero e cade a terra, un ramo già caduto che viene calpestato, un urlo dettato più dal desiderio di spaventare il proprio aggressore che dal dolore di una ferita, una pallottola esplosa dalla Glock di un guardiaparco, l’ultimo grugnito di un animale abbattuto. Ciò che scatena emozioni nel profondo del protagonista de La premonizione filtra dal mondo circostante attraverso le sue orecchie, come ad attribuire al verbo sentire un significato più vicino all’utilizzo dell’udito che al provare emozioni.
Eppure sono molti e stratificati i sentimenti che invadono l’animo di Wyman in una mattina estiva che appare rassicurante nella sua bellezza: il timore, la paura, il panico uniti a tutte le gradazioni della sofferenza. La causa della situazione che sta vivendo è l’ira della natura che si ribella e si accanisce contro di lui. Lo fa ricorrendo alla furia di uno dei suoi figli più irrequieti e distruttivi, un cinghiale che nella sua corsa porta con sé la devastazione. Lo fa colpendo un individuo ignaro e scelto dal caso come rappresentante dell’umanità, capro espiatorio chiamato a pagare le colpe di altri.
L’accusa è appena accennata ma non per questo meno grave: la sperimentazione sugli animali, con il suo velo di sadica violenza travestita da ricerca. Il laboratorio da cui è fuggito il cinghiale è costruito in mezzo a un parco, come se l’azienda che lo gestisce, la Chemical, avesse voluto in tal modo irridere la natura stessa. Tuttavia non basta questa collocazione a rendere più accettabili le attività svolte al suo interno.
Le colpe della Chemical ricadono su Wyman, reo unicamente di vivere uno “di quei giorni in cui non riusciva a nascondersi l’immodesta sensazione di piacere ad almeno metà degli abitanti del pianeta, mentre l’altra metà provava invidia nei suoi confronti”. La vanità dell’uomo lo spinge verso una punizione inflitta con lo stesso mezzo che ha utilizzato per offendere la natura: il veleno. Non si tratta di quello riversato nell’ambiente a causa dell’industrializzazione e di una spinta tecnologica ormai esasperata, ma di un liquido che i ricercatori hanno estratto dai serpenti rinchiusi nel laboratorio. Nuovamente la vendetta è consumata scegliendo accuratamente le armi con cui offendere.
Una scissione tra i piani temporali, che si sfasano e si sovrappongono, introduce un elemento fantastico all’interno del racconto di Italo Bellotti, che tuttavia non perde la sua principale connotazione di accusa nei confronti dell’uomo per le sue azioni anti-ecologiche. Ed è in questo senso che  il pensiero di Wyman, “una cosa di cui Dio avrebbe dovuto vergognarsi”, non dovrebbe essere rivolto all’esperienza della malattia ma all’operato dell’umanità che, nell’esercizio del libero arbitrio, ha perpetrato ingiustizie profonde nei confronti del Creato.

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